Condivisione, festa, augurio: il dolce è – forse più del piatto salato – l’alimento che enfatizza la gioia. Anzi la rappresenta.
La sua preparazione, inizialmente solo artigianale e casalinga,passava sempre attraverso il rito, mentre il suo consumo – che avveniva a fine pasto, al culmine di una celebrazione di festività religiosa – rallegrava e rinsaldava i vincoli di affetto, familiari e comunitari.
La tradizione ha sempre legato i dolci al territorio, ma anche alla stagionalità, visto che ciascuno di essi era legato ad una precisa ricorrenza annuale: la festa patronale, devozionale verso un santo, o una ricorrenza del calendario liturgico.

Oggi questo legame sembra essersi spezzato, i dolci chiudono i pasti non soltanto delle feste e le specialità del territorio viaggiano a bordo di efficientissimi corrieri. Ma una cucina che riscopre e valorizza il territorio non può ignorare lo stretto legame che unisce un dolce alla sua terra e alla sua festa.
Purtroppo oggi sulla tavola di Natale, a chiudere un pasto o a celebrare uno scambio di auguri, rimangono quasi esclusivamente il panettone e il pandoro. La prassi commercialmente riconosciuta ha spazzato via la grande varietà che il territorio nazionale aveva saputo creare e radicare nel corso dei secoli, intrecciando ricette a leggende, ingredienti a ritualità.


Si dimentica così che il dolce di Natale a Verona era il “nadalin” (l’antenato del pandoro), a Siena era il “panforte”, nelle Marche il “fristingo” (pane raffermo, frutta secca e fichi), a Bari le “castagnelle” (mandorle e cacao), a Napoli gli “struffoli” (mandorle, miele), in Sicilia “nucatoli e mustazzola” (mandorle e miele), in Sardegna il “pan’e saba” (mosto d’uva, frutta secca, aromi).

Quello che risalta subito è che oggi i gusti sono molto cambiati. Sono più apprezzati i sapori “neutri”, rispetto a quelli più decisi del passato. La ricotta, ad esempio è meno apprezzata di un tempo, mentre oggi risulta più gradito il cioccolato, la frutta secca ha lasciato il posto alle creme.
Il sapore complesso e strutturato di dolcificanti naturali e tradizionali come il miele e il vino cotto risultano ormai poco apprezzati, mentre piace di più, forse perché più rassicurante, la dolcezza piatta dello zucchero.
Con la sostituzione degli ingredienti, anche il significato del consumo dei dolci è cambiato: fino al XIX secolo la loro esclusività rituale era indiscussa, ma con i processi di produzione industriale si è smarrito l’originario significato del dolce che è diventando il boccone finale di qualsiasi pasto.
Si è perduto dunque non soltanto il sapore degli ingredienti utilizzati un tempo, ma si è perduto anche il sapore dell’attesa e il valore della funzione sociale della condivisione del consumo dei dolci nei momenti di festa.
La sfida che i cuochi e i pasticceri vogliono raccogliere adesso è riportare in vita questi sapori, che sono un patrimonio di saperi e di emozioni che rischia di andare perduto per sempre. Non ci sono tempi supplementari, la partita finisce: è questo il momento di entrare in campo e di giocare.