
Conclusosi con un bagno di folla il Cous Cous Fest 2022, l’occasione ci e’ ghiotta per approfondire la conoscenza di questa pietanza, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. L’Italia quest’anno ha trionfato nel campionato mondiale di cous cous, con lo chef marchigiano Pierpaolo Ferracuti ed il suo “Panzarella mediorientale: cous cous con gambero e gazpacho”.

Tra gli 8 Paesi finalisti (Argentina, Brasile, Costa d’Avorio, Francia, Italia, Marocco, Palestina e Tunisia), il secondo posto e’ andato alla palestinese Shady Hasbun, con un “cous cous che vuole essere un falafel”. Ben 50 mila i biglietti venduti, con il ritorno dei concerti di musica live ed un grande riscontro di presenze ( circa 200 mila ) che hanno invaso San Vito Lo Capo, le cui strutture turistiche, che pur vantano 8400 posti letto, hanno registrato il sold out. Ma se il successo del cous cous e’ ormai acclarato, le sue origini non sono documentabili con certezza.

Tracce della tradizione del cous cous ci giungono dal medioevo, collocandolo tra l’Africa subsahariana e le coste magrebine. Comunemente si ritiene che in Sicilia sia stato lasciato in eredita’ dalla presenza araba, influente almeno fino al 1200 ( ben dopo la battaglia di Noto del 1091 che ufficialmente, con la vittoria di Ruggero I, ne data la cacciata). In Italia ne fa per primo menzione Giovanni Battista Ramusio, il cui trattato “Delle navigazioni et viaggi” (1550) cita Giovanni Leone dei Medici, un berbero naturalizzato italiano, che descrivendo i costumi alimentari delle popolazioni marocchine racconta, “sogliono anchora mangiare carne bollita, et insieme cipolle et fave, ò pure l’accompagnano con un altro cibo, dito da essi Cuscusu”.

Ma per attestarne ufficialmente il consumo in Sicilia bisogna attendere una novella del 1777, riportata un secolo dopo da Giuseppe Pitrè, che raccontando di un matrimonio trapanese, in occasione del quale al parroco fu regalato un piatto di cuscusu, ne descrive anche la lavorazione: “formasi con della semola in un vaso, ove di tanto in tanto spruzzandosi dell’acqua, e strisciandovisi leggermente la mano in giro, in minutissime coccoline si riduce; quindi su una pentola, o sia dentro la sola carne a bollire, un’altra con ispessi e piccoli buchi nel fondo e che la preparata semola contiene, assettandosi, al caldo fumo di quella, che le sta sotto si cuoce”. Ancora oggi nel Trapanese e’ il piatto della Festa, dove mani sapienti ricalcano gesti antichi, trasformando la semola in granelli dorati che pero’ impallidiscono con la cottura dando vita ad un soffice e leggero cuscusu, pronto ad accogliere la zuppa a base di pescato fresco.

A tal proposito, Antonella Rugirello trapanese doc, cultrice del cuscusu tradizionale, ci conferma che la ricetta trapanese e’ rigorosamente “incocciato” a mano ed accompagnata da una zuppa di pesce, senza crostacei ! Ancora oggi – prosegue Antonella – un anello di farina viene posto, durante la cottura a vapore, in mezzo al cuscus, in ricordo della tradizione ebraica che, in occasione della circoncisione dei bambini, per individuarne il padrino, si affidava al caso, visto che la scelta sarebbe caduta su chi tra i commensali si fosse ritrovato l’anello nel piatto !

Ben si comprende come nelle famiglie tradizionali del trapanese, il rito del cuscusu per le Feste rappresenta ancora un “sacrum facere”. La semola sottilissima si incoccia con i polpastrelli nella mafaradda piatto largo di terracotta e si lavora con l’acqua, poi si lascia riposare una notte su una tovaglia. A parte si preparano cipolla , aglio e prezzemolo tritati , sale pepe peperoncino e cannella in polvere, e l’olio, lavorando il tutto con le mani, ed infine ponendolo nella cuscussiera, Si prepara un pane in pasta (cudduredda ) posto come sigillo tra le due pentole per trattenere il vapore, che cosi’ fuoriuscirà solo dal centro bucherellato.
Sara’ facile scorgere il segnale che il cuscus spicciau (ha preso a cuocere ), facendo uscire il vapore dal centro della pentola. Da quel momento dovranno passare un paio d’ore di cottura. Nel frattempo si prepara a parte la zuppa di pesce. Si fa rosolare cipolla abbondante, poi si aggiunge il pomodoro a pezzettoni, poi l’acqua, il sale pepe nero e peperoncino e la cannella in stecche. Quindi si aggiungono aglio e prezzemolo pestati ed il pesce ( scorfano, cernia, gallinella e pescato del giorno, preferibilmente spinati) .

Si pone il cuscus sulla mafaradda , si aggiunge il brodo filtrato, poi ancora aglio e prezzemolo pestati e le mandorle tostate tritate, e si avvolge la mafaradda, contenente il cuscus ed una parte di brodo della zuppa, con una coperta, lasciandolo riposare per un paio d’ore. La zuppa viene filtrata due volte (eliminando cosi’ anche le stecche di cannella ) e si aggiungono le mandorle tostate e tritate, aggiungendo il pesce spinato. La zuppa si servira’ posta su di un lato del cuscusu già disposto nel piatto di portata. Scontato che i siciliani non vi accompagnano il tradizionale thè verde, abbinare il cous cous con il vino giusto non e’ complicato. Rispettando la territorialita’ niente e’ meglio di un Grillo vitigno autoctono siciliano nato dall’incrocio tra catarratto e zibibbo sul finire dell’ottocento. Questo vino ha buona persistenza aromatica ed una piacevole morbidezza. Nelle migliori versioni risulta saporito e ben strutturato, ma fresco, morbido e minerale, con sentori di mela verde, frutta a polpa gialla, fiori di zagara e lime in evidenza, e note di macchia mediterranea.
Una bella alternativa invece ci porta verso un vino rosso anch’esso da vitigno autoctono, un Frappato , che unisce al sorso fresco una buona spalla acida, evidenziando sensazioni di arancia, ciliegia, erbe aromatiche e leggere note marine. Il sorso snello, vivace e scorrevole, con sottilissimi tannini e una leggera scia sapida di questo vino, potrà dire la sua e sposarsi benissimo con l’aromaticità del cuscusu trapanese.