IL TIMBALLO, UN “RE” DELLE MENSE NATALIZIE VENUTO DALLA FRANCIA
Quattordici ingredienti per realizzare un piatto che ha il suo posto anche nella letteratura oltre che nelle tradizioni

Articolo di Paolo Li Rosi

L’occasione delle festività Natalizie, ci fa riflettere su come le buone tradizioni gastronomiche italiane, anche al sud, abbiano ceduto il passo ad esigenze consumistiche sempre più invasive. Ben venga l’evoluzione s’intende, ma preservando la tradizione culinaria che rappresenta una parte fondamentale della nostra cultura.

Ce lo ha ricordato anche la riproposizione TV del celeberrimo film di Luchino Visconti, tratto dal capolavoro di Tomasi di Lampedusa, che mettendo in scena le atmosfere de “Il Gattopardo”, ha visto protagonista gastronomico indiscusso il Timballo del Principe, che ha rubato la scena alle altre prelibatezze, lasciando aperta l’immaginazione, solo al ballo finale di Angelica e Tancredi.

La magistrale preparazione dell’iconico piatto si deve a quei Monsù, appellativo italiano riservato ai Monsieur francesi, introdotti alla Corte Borbonica per merito di Maria Carolina Asburgo Lorena (arciduchessa d’Austria e regina consorte di Ferdinando IV) che mal sopportava la cucina napoletana. 

Questi raffinati chef francesi, furono quindi chiamati ad istruire brigate di “volgari” cuochi siciliani e campani al loro servizio, dando vita ad una vera scuola, fucina di scambi culturali e francese solo all’origine, che ha il merito di aver tramandato fino a noi, grazie ai “cuochi di paglietta” ed alle elaborazioni delle massaie siciliane, sapori altrimenti dimenticati.

L’atmosfera d’altri tempi del banchetto, che ammaliava i convitati del Principe di Salina, viene così descritta dal Tomasi:”Il Principe aveva troppa esperienza per offrire a degli invitati siciliani in un paese dell’interno, un pranzo che si iniziasse con un “potage”…”Perciò quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto d’argento, che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, soltanto quattro su venti persone si astennero dal manifestare una lieta sorpresa…”

Momento evocativo di quel passato d’amore per l’arte culinaria, e’ il taglio dello scrigno di pasta brisè, “color oro brunito” dal quale, appena dopo la dolce fragranza di cannella, si sprigionava il calore ed il delizioso profumo aromatico dei sapori preziosi custoditi dal principesco Timballo. 

Sono ben 14 infatti, gli ingredienti necessari per realizzare questa prelibatezza miracolosamente giunta fino a noi, dalle uova di quaglia, ai fegatini di pollo, fino al tartufo, e vanno amalgamati con pazienza ed attenzione, per dar sollievo alla vista, prima ancora che al palato. Ma anche il miglior piatto ha bisogno del giusto vino per lasciare la miglior immagine nel cuore.

L’elenco dei piatti della nostra cucina, frutto di rivisitazione culturale potrebbe continuare, ma il timballo del pranzo del Gattopardo è uno dei più degni rampolli.

Già perché di pranzo si trattava, considerato che quei nobili decadenti, che sulla scia della Corte napoletana esigevano al loro cospetto un Monsù, dopo un leggero “brunch” di seconda mattina, facevano un solo pasto, intorno alle 18,00 con ben 4 portate a base di carne o pesce !

Altro esempio calzante le sarde a beccafico, in origine un piatto francese con protagonisti,loro malgrado, dei passeracei disossati ed impanati, dei quali si scorgeva solo il becco, divenuto piatto autoctono siciliano nella versione tramandata dalle nostremassaie, a base di salutare pesce azzurro. 

Si deve quindi alla creatività siciliana, unica nella sua originalità, l’aver trasformato diverse pietanze classiche della dieta francese, spesso a base di salse, non tutte consone al palato isolano, tramandandole in un adattamento spesso teatrale, al patrio gusto ed alla territorialità.

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