
Nell’epoca della sovraesposizione mediatica degli chef-star e del continuo successo dei programmi di cucina, i cuochi di valore si contendono i pochi personaggi di spicco della sala, tutti ampiamente corteggiati, perché è ormai chiaro che la sala è fondamentale per un successo durevole di ogni ristorante. Anche per questo abbiamo incontrato un personaggio storico della ristorazione catanese, che ha vissuto fin dagli anni ’60 -quelli per intenderci della “raggiante Catania”- la parabola della cucina etnea, vista dalla sala. Vito Fusari da Cesarò, un nome che ai profani non dirà molto, ma conosciuto ed apprezzato da chiunque faccia ristorazione da qualche tempo nel catanese.

“Ho iniziato lavando i piatti al Selene” -mitico ristorante della Scogliera catanese, ci racconta- “nella cui cantina i primi tempi mi veniva concesso di dormire, e la notte ed il rumore del mare d’inverno, che tuonando rovesciava i cutilisci mi faceva paura”. Già perché il giovane Vito, figlio di contadini di montagna venuto da Cesarò a cercare fortuna, nel 1962 a soli 14 anni, il mare fino ad allora, non l’aveva mai visto !
La sua avventura nel mondo della ristorazione nasce però per puro caso, come spesso accade alle storie importanti. Proprio nello stesso pianerottolo della sorella di Vito, abitava infatti a Catania un certo Musumeci, all’epoca cuoco del Selene. Fusari in cerca di un lavoretto, fu raccomandato dalla sorella che aveva saputo di un posto da lavapiatti, liberatosi proprio in quel ristorante tra i più in voga del catanese. Fu un attimo e, noleggiata una 600 multipla, traslocò definitivamente a Catania.
Vito Fusari ha cominciato così, percorrendo tutta la gavetta possibile, divenendo infine imprenditore di sé stesso con il Rustico, il Galatea ed infine i Crociferi, ci racconta gli esordi ? “Passavo al Selene l’intera giornata, ed il pomeriggio nell’ora di pausa, la mia curiosità mi portava a frequentare i camerieri dai quali, osservando, ho imparato molto. In particolare il mio maestro è stato però Salvatore Romano, che veniva dall’esperienza della Costa Azzurra ( locale storico affacciato sul mare di Ognina ) che mi prese subito in simpatia”.

Romano era un noto professionista del servizio e quando i camerieri smontavano, insegnava al giovanissimo Fusari la mise en place, mostrandogli come si apparecchia un tavolo da 20 coperti, con la tovaglia perfettamente allineata, così da non pendere neppure di un cm.
Da lavapiatti Vito diventò così apprendista, nonostante lo scetticismo iniziale del titolare del Selene, Salvatore Marchese, che mettendolo alla prova dovette ricredersi. Fu cosi che la sua paga di 3.000 lire al mese, divenne di 1.000 lire al giorno, nell’epoca in cui lo stipendio di un impiegato pubblico si aggirava sulle 50.000 lire al mese.
Il suo maestro, Romano, era stato anche giovane pescatore, fu anche questo per lei un episodio fortunato ?
“Si, Romano aveva un occhio incredibile nello scegliere il pesce, era conosciuto e rispettato e voleva che lo accompagnassi anche in Pescheria, dove mi insegnò a distinguere persino i migliori saraghi, quelli pescati con il camacio”.
Ma come ha fatto quel giovane Fusari, venuto dalla campagna ad affermarsi nel mondo del servizio di sala, e poi della ristorazione ?
“Quando facevo l’apprendista al Selene, la giacca che comprai al mercatino della Fera o’ Lune, non me la toglievo più, ero troppo orgoglioso della mia divisa. Così, sempre pronto al servizio, capitava che qualche forestiero arrivasse al ristorante per cenare presto, prima delle 19, quando ancora i camerieri non avevano montato, ed io coglievo l’occasione per accoglierli, facendo esperienza”.
Siamo nel 1967, quando Marchese decide di aprire alla Scogliera un altro ristorante, la Posada, per farne un locale di carne e pizzeria. Fusari strappa allora una promessa determinante al suo titolare, che assicura “alla Posada ti farò fare il cameriere”.
Marchese, non sapeva ancora che avrebbe ceduto la gestione del Selene a Luigi Gagliano ( quello del ristorante del teatro Metropolitan ), e pertanto tutta la squadra di sala del Selene si sarebbe trasferita alla Posada, dove lo spazio per Vito non c’era più !

Fusari non si scoraggia, deciso a diventare cameriere, anche perché questi lavoravano a percentuale, riuscendo a guadagnare anche 5.000 lire al giorno, mentre lui ne guadagnavo ancora 1.000. Ci racconta, con la grinta degli anni d’oro come, ricordando la promessa al suo titolare, riesce a farsi mettere in prova.
Ma come fu accolta questa scelta dai camerieri di allora ?
“Fu una settimana da incubo…Mi affidarono i tavoli più lontani dalla cucina, ed ero l’unico a non avere aiuto cameriere. Fui boicottato dai miei colleghi, ma ero molto veloce, riuscendo così a soddisfare le esigenze dei clienti. Davo un occhio sempre ai tavoli. Non mi fermavo ancora a parlare con i clienti, stentavo ancora con l’italiano, ma riuscivo a cambiare velocemente il servizio dal guèridon, dando una mano anche ai tavoli vicini.”
A fine settimana era fatta ! Vito Fusari sa fare il suo ed aiuta gli altri, così fu il proprietario ad imporlo agli altri camerieri che da quel momento dovevano dividersi la percentuale in 8 anziché in 7. All’epoca si distingueva l’apprendista dal cravattino bianco, mentre i camerieri indossavano quello nero. Fusari ricorda che quando si presentò in sala per la prima volta da cameriere, il caposervizio Gianni, esclamò “E’ entrata una colomba ed è uscito un corvo!”.
Gli chiediamo se allora camerieri e maitre di sala in fondo si diventa, non si nasce, mettendo a frutto esperienza ed etica del lavoro ?
“E’ proprio così, la capacità di dirigere gli altri, il talento, di fatto emergono da soli. Un leader si fa riconoscere per il senso di responsabilità verso i propri colleghi. Bisogna investire anche sul recuperare il dialogo con il cliente, una volta non avevamo il menù. Bisogna sviluppare questo aspetto oggi trascurato, In questo le scuole e gli stage rivestono un ruolo fondamentale”.
Possiamo dire che la sua carriera svoltò con il passaggio al Rustico, dove in 20anni di cucina del territorio si è imposto anche come imprenditore ?
“Beh certamente ! Era il 1974, ricordo che Luigi Gagliano, dovette lasciare il Selene, che Marchese trasferì a Tommaso Alioto, frattanto sposatosi con sua figlia Maria. Gagliano prese il Rustico a San Gregorio, ma non gli andò come sperava. Fu allora che ebbi il coraggio di rilevare il ristorante, insieme all’amico di sempre Salvatore Romano ed altri tre soci”.
Il passaggio al Rustico è stata un esperienza esaltante, erano ancora gli anni di una raggiante Catania, è così ?
“SI, da Catania passavano un po’ tutti, attori, cantanti, politici, era la Milano del Sud. Io mi occupavo un po’ di tutto, dal gestire la sala, al rapporto con i clienti, fino ai rappresentanti. Avevamo 190 coperti che il fine settimana diventavano anche 250, con la gente in fila fuori dal locale. Con i miei soci ci eravamo divisi la sala in 4 settori da 60 coperti, ma molti clienti erano disposti ad aspettare finchè non si liberasse il settore gestito da me ”.
Ci vuole ricordare del pranzo del Presidente Bush ?
“Abbiamo avuto il Presidente Bush nel ‘90 quando ci fu la crisi del Golfo della Sirte. Erano in 6 diplomatici, con 12 uomini della scorta. Vennero al Rustico perché eravamo il ristorante di grido. Ricordo che ci hanno fatto chiudere la saracinesca. Fu allora che, violando il protocollo, mi avvicinai al Presidente, con in mano delle arance siciliane. Mi fronteggiò minacciosa una guardia del corpo. Alla fine Bush assaggiò le nostre arance…esclamando che erano più buone di quelle della California!”

Ma anche le squadre di calcio pranzavano al Rustico ?
“Certamente, spesso le squadre in trasferta per giocare a Catania in serie B, o a Messina in serie A, venivano da noi. Poi Massimino faceva il ritiro del Catania all’Ares Hotel, e la squadra prima della partita pranzava al Rustico. Anche il Messina di Scoglio e Totò Schillaci frequentava illocale.. Ovviamente i calciatori seguivano una dieta diversa rispetto alla dirigenza. Ma il lunedì, quando erano di riposo, un gruppo di giocatori del Messina con le mogli, veniva appositamente a cenare da noi, ricordo Catalano, Paleari, Schillaci e tanti altri, tutti appassionati del nostro menu di pesce”.
C’è un episodio particolare che riguarda personaggi dello spettacolo?
“Claudio Villa, il famoso cantante, era appassionato motociclista. Un giorno lo vediamo stupiti nel piazzale del Rustico con la sua Harley Davidson, era un Carnevale, avrebbe dovuto soggiornare all’Ares. Villa scambiò il Rustico per l’Hotel, e dopo aver scaricato le valigie, accortosi dell’errorele lasciò sul piazzale, arrabbiandosi e pronunciando frasi irripetibili. Lo accolsi invitandolo a pranzo. Appena vide Il pesce esposto scattò una fotografia, rimanendo colpito da quel variopinto spettacolo. Dopo il pranzo fu così soddisfatto da ritornare come cliente”.
Ma come è cambiato secondo lei la ristorazione dagli anni ‘60 in poi ?
“Una volta la clientela era in gran parte abituale. Il rito era quello di cenare fuori il sabato sera e la domenica a pranzo. Nei giorni feriali la clientela era costituita per lo più dai tanti agenti di commercio, oggi una rarità. Proponevamo degli antipasti di mare e terra, cucina territoriale e di stagione. Il cuoco non era chef, semmai mastro di cucina, anche le figure dei commis di sala e dei camerieri erano importanti per il successo di un locale. Al Selene negli anni ’60 protagonista era il nostro carrello di antipasti con 12 scelte, più terra che mare. Mentre il pesce era protagonista nei primi e nei secondi piatti. Al Rustico abbiamo un po’ rivoluzionato la ristorazione locale, con una grande scelta di antipasti a base di pesce, un po’ come succede adesso. Ma noi andavamo ogni giorno in Pescheria ed io sceglievo personalmente il pesce fresco. In stagione grande spazio anche agli antipasti territoriali, dai broccoli affogati fino alla caponata ed alla parmigiana.
Siamo stati i primi ad inserire gli arancinetti e le bruschette. A marzo-aprile non poteva mancare la minestra primavera di carciofi freschi, fave e piselli. I nostri clienti andavano matti per la fritturina mista, i masculini, il mucco (novellame) anche crudo, il gambero di nassa ed i calamaretti chiamati esca. La cucina non era complicata, ma la materia prima era fondamentale. Oggi spesso si mangia più con gli occhi che con il gusto, che nella media si è molto appiattito”.
Oggi si corre tutti , un po’ troppo. Anche al ristorante le abitudini sono mutate ?
“Assolutamente sì, purtroppo. Io ho vissuto in pieno anche questo cambiamento. Da commis a caposala, divenendo anche imprenditore dal 1974 al Rustico, ma facevo ancora la spesa. Da lì in avanti, passando nel 1995 al Galatea e fino al 2022, quando ho terminato la carriera ai Crociferi, ho mantenuto tutti e due i ruoli. Non ha mai abbandonato la sala, mi piace stare a contatto con il cliente. Coltivatosi il rapporto, la maggior parte dei clienti abituali, si affidava totalmente a me per la scelta del menu, in base a quello che offrivamo di fresco.
Anche la misura dei tavoli è specchio dei tempi, siamo passati da tavoli e sedute comodi, perché non si usava il doppio turno, ai tavoli 60X60 alla francese e sedie minimal di molti locali gourmet, dove è impossibile resistere per più di un ora. Non tutte le nuove leve poi sono in grado di realizzare un piatto da soli, perché spesso vengono completati al momento dopo essere stati abbattuti e quindi rigenerati. Così in un ristorante oggi servono almeno 4 o 5 figure in cucina che partecipano alla costruzione del piatto, 2 camerieri, un sommelier (a proposito anch’io lo diventai, insegnando poi alla Fisar). La cucina tradizionale era gestita solo da un paio di cuochi, perché uno di solito si occupava della griglia ed aveva dei sapori e degli odori ben riconoscibili, per lo più perduti. Oggi nella media il gusto della materia prima passa in secondo piano, confondendosi nell’assemblaggio degli ingredienti, e l’aspetto del piatto è più importante, anche per i social. Ma non sono nostalgico, vedo dei segnali importanti di recupero dell’autentica, sana e buona cucina”.