Di Maria Torrisi
L’ugola e la gola non vanno molto d’accordo, almeno durante i giorni delle tournee, quando – seguendo un’usanza tramandata dai vecchi maestri – tenori e soprani, bassi e baritoni sono soliti osservare un protocollo alimentare fatto di prescrizioni e rigori, ma quando sono lontani dalle scene, si concedono i meritati piaceri della tavola.

“Il pranzo del giorno prima della recita è a base proteica – svela Vincenzo Taormina, applauditissimo don Bartolo nel “Barbiere di Siviglia” al Teatro Massimo Bellini di Catania, per la stagione lirica 2022 – mentre il pasto del giorno dell’esibizione è costituito soltanto da carboidrati, che danno l’energia necessaria a sostenere la fatica dell’esibizione lirica. A noi basta un piatto di pasta in bianco, che va consumato quattro ore prima di entrare in scena. Può capitare così di pranzare alle quattro del pomeriggio quando lo spettacolo è serale”.

La maestosa altezza e la generosa cassa toracica non nascondono che a Vincenzo Taormina, palermitano d’origine, ma cittadino del mondo per le esibizioni nei vari teatri del bel canto, la tavola deve essere più che amica. “Mi piace variare, scoprire e provare cibi nuovi – dichiara il baritono – ma il mio desiderio più grande è ritrovare un giorno lo stesso piatto che preparava mia nonna Rosa: la pasta e fagioli con le castagne. Era un piatto semplice, fatto con fagioli freschi, varie forme di pasta racimolate e castagne secche. Aveva un sapore indimenticabile – ricorda con nostalgia l’ugola d’oro della lirica che dal pubblico si è fatto apprezzare anche per leabilità espressive – ed era buonissima anche fredda. Mia nonna metteva a bollire i fagioli che noi nipoti avevamo prima sgranato dai baccelli gialli e quasi secchi, poi aggiungeva le castagne secche comprate al mercato del Capo di Palermo, che chiamava “cruzziteddi”, e infine univa la pasta di varie forme che aveva prima spezzato. Ricordo nettamente – aggiunge il maestro della lirica – il suono, non il rumore ma quasi il canto, degli spaghetti che mia nonna strizzava dentro un tovagliolo di stoffa, che con la delicata pressione delle sue mani diventavano pezzetti informi insieme ad altri tipi di pasta che avevano già perso la propria iniziale identità”.
La nostalgia per l’infanzia, per l’età dei giochi e per la spensieratezza, si unisce al ricordo del sapore dei cibi che, se per di più sono preparati da persone care e amorevoli, diventano insuperabili. Difficile dunque stabilire se e quanto di quella nostalgia derivi dai sapori perduti o dal tempo perduto. Ma la cucina, lo sappiamo da Proust, un miracolo lo compie: può riportare alla memoria, attraverso il gusto, quei momenti trascorsi e lontani, quelle emozioni e persino le persone scomparse.

“A noi bambini piaceva sentire sotto i denti i cubetti di cotenna che insaporivano la minestra, ritrovare i fagioli interi e percepire il sapore di quelli che si erano aperti durante la cottura, mescolato a quello delle castagne ormai diventate cremose e morbide”.
Non una semplice pasta e fagioli, e nemmeno una pasta e fagioli “rivisitata dallo chef”, la pasta con i fagioli e le castagne di nonna Rosa alimenta i sospiri di una delle voci che danno vita ai personaggi immortali della lirica italiana.