Di Maria Torrisi
“Da bambino ero “spidittatu” – non avevo mai appetito – e per questo ero una “resca”- una lisca d’acciuga – mica come adesso che peso quanto un armadio”. Ride di sé Gino Astorina, che con i suoi spettacoli di cabaret regala momenti di salutare ironia. Suoi bersagli costanti sono il malcostume e le contraddizioni di oggi, che spesso mette a confronto conla semplicità e i valori dei tempi passati.
“Non mangiavo mai nulla, però la semplicità genuina, il profumo dell’olio buono, il formaggio appena grattugiato che si scioglieva nel brodo e quelle punte che restavano un po’ croccanti del pane cotto che faceva mia nonnami spalancavano le porte del gusto e l’appetito arrivava puntualmente”,ricorda l’attore catanese, ideatore della formula “cabaret più vino passito e biscotti” ad ogni replica offerti agli spettatori del suo “Gatto Blu”, una sala senza poltrone, ma con sedie e tavoli da bar.

“La ricetta era semplice e non costava quasi nulla alle tasche della famiglia. A volte il piatto era arricchito con un uovo, aperto nel pan bagnato mentre era ancora sul fuoco, e cotto in camicia; ma più spesso era una semplice zuppa di pane e acqua, o pane e latte. Il suo sapore mi inebriava davvero, con l’aglio e il prezzemolo freschi e profumati. Mi dispiace davvero che non sono più riuscito a ritrovarlo, né nelle cucine casalinghe, né di quelle professionali, che invece si sbracciano e si “pinano” – si disperano – ad inventare nomi strani per la patata a polpetta, o la patata a crocchetta”, è il rammarico vestito di ironia dell’attore, che al suo libro, “Basta che non sudi”, ha affidato i ricordi più divertenti e dissacranti della sua infanzia trascorsa a giocare tra i vicoli e i cortili popolari di una Catania degli anni precedenti al boom economico.
“Il pane non si buttava mai e c’era un cassetto in casa, nel quale venivano conservati, con sacrale rispetto, tutti i pezzetti che non erano stati consumati per tempo e che quindi erano diventati secchi e duri da non poter più essere addentati. Io andavo a sbirciare spesso in quel cassetto di casa, e quando vedevo che di pane ce n’era a sufficienza – sorride al ricordo della sua impresa di bambino – correvo e “cutturiavo” mia nonna finché non cucinava il mio amato pane cotto”.
Una ricetta semplice, che potrebbe essere duplicata facilmente, ma che forse oggi nessuno vuole fare più, a caccia come si è di novità roboanti.

“Non ho mai provato a riportare in vita quel piatto antico, perché in cucina sono una frana – ammette il comico – ma poi il segreto era anche in quel pane, “cuddureddi” e pane marinaro, fatto con farina bianchissima e molto fine, un impasto che credevo fosse magico perché nel forno si trasformava in una forma straordinaria, che al suo interno era morbidissima, ma aveva una crosta così compatta e liscia che sembrava il guscio di un uovo di gallina bianca. Poi, sulla superficie di questa crosta liscia, spuntava sempre una corona piena di punte croccantissime, ed erano proprio quelle che nella zuppa facevano la differenza”.
Il suo sogno, magari a conclusione di uno spettacolo in teatro, è ritrovare quel sapore antico, quella semplicità, quel gusto. Ma non a casa. “Se provasse a cucinare il pane cotto e non riuscisse a farlo come quello dei miei ricordi – conclude con uno dei suoi più ironici sorrisi, Gino Astorina – mia moglie sa che potrei chiedere anche il divorzio. Ed è forse per questo che non ha mai rischiato”.