di Maria Torrisi
Un buon piatto è una storia da raccontare. Non soltanto una pietanza buona da mangiare oppure una ricetta creata apposta per stupire.
Dentro ogni piatto – se impiega ingredienti locali, rispetta le ricette tradizionali ed è in armonia con il ciclo delle stagioni – si ritrovano i mattoni con i quali è costruita la storia del territorio nel quale ha avuto origine (dalle condizioni climatiche, agli scambi commerciali, alle dominazioni, alle influenze di mode e culture). Inoltre, se si riesce ad entrare in contatto con il suo linguaggio più intimo, alcuni piatti della cucina del territorio svelano persino tratti profondi dell’identità dei suoi abitanti.

Ne è assertiva sostenitrice la professoressa Donatella Privitera, coordinatrice del corso di laurea in Scienze del Turismo dell’Università di Catania e docente di Geografia del turismo presso il dipartimento di Scienze della Formazione di Catania, che con i suoi studenti e nelle sue pubblicazioni scientifiche, non manca mai di ribadire quanto importante sia il settore enogastronomico per il comparto del turismo e quanto questo sia trainante per la nostra economia.
“Ai turisti bisognerebbe far gustare il piatto prima ancora che lo abbiano assaggiato”, è il parere che la docente universitaria indirizza ai ristoratori, ai cuochi e ai maitre d’hotel. “Bisognerebbe illustrare la pietanza non solo e non tanto attraverso l’elenco degli ingredienti che la costituiscono, o attraverso le fasi della sua preparazione, ma anche attraverso un ventaglio di suggestioni di derivazione culturale e antropologica, in maniera tale che i visitatori siano incuriositi e desiderosi di fare, attraverso l’esperienza del palato, una conoscenza maggiore dei luoghi visitati. Per questo non solo sarebbe opportuno che ogni territorio valorizzasse le proprie ricette tradizionali attraverso un’attenta analisi delle caratteristiche che le rendono uniche e rappresentative, ma sarebbe utile altresì che i ristoratori riuscissero a presentare i loro piatti in anticipo, a favore dei potenziali clienti”.
Attraverso la rete Internet, sulle pagine di Facebook e sui siti, i ristoranti hanno la possibilità di mostrare, come fosse una vetrina, tutti i propri prodotti. Ciò che forse fanno un po’ meno, in genere, è mostrare il proprio stile, la propria filosofia. Ancor meno, sulla rete, emergono i nessi tra la ricetta, il territorio e la sua storia.

“L’emergenza sanitaria, con le chiusure dei ristoranti e il lockdown, le limitazioni delle presenze in sala e lo sviluppo del delivery – nota la professoressa Privitera – ha fatto sviluppare enormemente la capacità dei ristoranti di proporsi e di mostrarsi. Il covid ha imposto il menù digitale e, anche a fine pandemia, sono certa che questa modalità on line accompagnerà le nostre abitudini nei pasti fuori casa. Purtroppo però ancora non sono stati superati i limiti della confort zone e non si è passato dalla semplice illustrazione del piatto alla sua più completa narrazione. Certo è, però, che il miglior modo di raggiungere questo obiettivo sarebbe affidare a professionisti specializzati anche questo tipo di comunicazione, in maniera tale da curare non solo l’immagine del territorio, ma anche quella dei suoi imprenditori”.
Tutti ormai creano profili sui social, alcuni curano i blog, ma se ci si limita a postare fotografie e ricette si soddisfa soltanto il bisogno del cuoco o del ristoratore di apparire, mentre l’esigenza del turista, “affamato” di entrare in contatto con il territorio, è quella di riconoscere nei piatti e nei prodotti locali, le storie di un popolo che si intrecciano con la cucina.
Molti dolci, ad esempio, sono legati ad una ricorrenza, spesso religiosa ed esistono aneddoti e leggende, oltre a precisi fatti storici, che spiegano le ragioni per le quali un piatto è nato in un determinato territorio, in quale epoca è avvenuto e quale circostanza ha pesato in maniera determinante.
La scommessa per il futuro della cucina e del turismo è riportare alla luce queste narrazioni e farle diventare “l’ingrediente segreto” di ogni piatto.